Welfare e benessere on demand: verso un modello personalizzato, innovativo e relazionale
Intervista a Raffaele Boiano | CEO Orvian & Fifth Beat
Raffaele Boiano si occupa di design da oltre 20 anni, con un’attenzione particolare a come la tecnologia può migliorare l’esperienza delle persone e creare valore per le organizzazioni. Ha co-fondato Fifth Beat, una delle principali aziende italiane specializzate in design dell’esperienza utente, e oggi è anche CEO di Orvian, un gruppo di 160 professionisti che lavorano insieme su progetti di design, tecnologia e marketing.

Il welfare integrativo è chiamato ad affrontare una sfida decisiva: passare da un sistema standardizzato a un modello capace di mettere davvero al centro la persona, intercettandone i bisogni specifici e adattandosi ai diversi momenti di vita.
La personalizzazione diventa così la chiave per trasformare il welfare in benessere su misura, flessibile e accessibile, in grado di coniugare tutela, prevenzione e qualità della vita.
Un’unica sfida che accomuna fondi pensione, fondi sanitari, Casse di previdenza, enti e aziende: costruire un welfare integrato e personalizzato, capace di rispondere ai bisogni reali delle persone.
Ne abbiamo parlato con Raffaele Boiano, CEO di Orvian & Fifth Beat, designer con oltre 20 anni di esperienza, professionista che unisce ricerca sui comportamenti, strategia e innovazione per creare servizi utili e inclusivi.
Welfare Nest
Il welfare in Italia sta attraversando una fase di profonde trasformazioni. Le difficoltà del sistema pubblico, unite ai nuovi bisogni della popolazione, hanno spinto enti, parti sociali, aziende e operatori di mercato a investire in soluzioni sempre più articolate e innovative.
Eppure, nella costruzione di piani e strategie sembra prevalere ancora una logica top down, alla ricerca della soluzione standard e scalabile, con il rischio di non intercettare bisogni che cambiano in modo rapido e spesso inatteso.
Conosciamo davvero le esigenze reali dei nostri iscritti e clienti? Analizzare i dati di spesa per prestazioni e prodotti porta effettivamente a una reale comprensione dei bisogni latenti che guidano quelle scelte? Non è forse arrivato il momento di costruire un welfare che parta davvero dalle persone, esplorando tanto i loro bisogni imminenti quanto quelli emergenti o addirittura nascosti?
Raffaele Boiano
È un rischio reale, perché ascoltare utenti e stakeholder in maniera profonda e continuativa è un fattore di successo che poche organizzazioni hanno potenziato nel tempo. Bisogna riconoscere il bisogno dell’altro, cambiare la propria prospettiva e saper coinvolgere le persone in modo reale.
Il primo passo per mettere veramente il cliente al centro è costruire un’intenzione condivisa, che in ambito welfare significa riconoscere che l’iscritto non è un mero destinatario di rimborsi, ma un cittadino con bisogni mutevoli, complessi e interconnessi.
Il cambiamento di prospettiva parte quindi da una leadership capace di guidare una trasformazione culturale interna, fondata sull’empatia e sulla comprensione profonda del vissuto delle persone. Questo implica non solo disegnare servizi attorno agli utenti, ma coinvolgere gli iscritti come co-autori del sistema. Alla base di tutto quindi vi è la consapevolezza e la capacità di chi guida le organizzazioni, il coraggio di mettersi in discussione e di seguire percorsi che non sono sempre i più semplici ma i più virtuosi.
Welfare Nest
Quali sono gli errori da non commettere?
Raffaele Boiano
L’errore più grave che un’organizzazione possa commettere è considerare la customer centricity come una moda passeggera o un mero slogan di marketing. Senza un reale cambiamento nei processi, nelle metriche di successo e nei meccanismi di governance, il rischio è quello di produrre iniziative superficiali, prive di impatto concreto.
Un secondo errore altrettanto critico è confondere i bisogni dichiarati con i bisogni reali. Per evitarlo, serve un ascolto continuo e multidimensionale: non indagini episodiche, ma un ecosistema conversazionale permanente con gli iscritti, capace di far emergere bisogni latenti e anticipare quelli futuri.
Welfare Nest
La necessità di conoscere le abitudini, gli stati di salute, le condizioni socio-sanitarie e reddituali, la propensione al rischio negli investimenti dei propri iscritti, impone la necessità di saper raccogliere e analizzare dati non solo quantitativi ma anche qualitativi. L’analisi qualitativa è uno degli strumenti da sempre nel vostro DNA; come è possibile integrare il dato qualitativo con quello quantitativo? Cosa ci insegna e ci fa scoprire un’analisi qualitativa?
Raffaele Boiano
La customer discovery offre numerosi framework strutturati e basati su metodi misti. Applicarla al welfare, significa integrare analisi predittive e modelli di risk stratification con storie, emozioni, aspettative e vissuti. L’analisi qualitativa – soprattutto quando condotta con approcci etnografici e di co-design – non solo fa emergere ciò che i numeri non mostrano, ma consente anche di dare contesto e significato ai dati quantitativi.
Un’organizzazione davvero customer-centric ambisce a costruire dei significati condivisi, capace di collegare sintomi, abitudini, preferenze e barriere di accesso. In questo percorso, i dati qualitativi diventano il ponte tra i bisogni dichiarati e latenti.
L’integrazione avviene attraverso sistemi ibridi: dashboard che incorporano narrazioni, KPI affiancati da storie emblematiche, cluster statistici arricchiti da archetipi di utenti reali. Solo così è possibile progettare servizi di welfare davvero appropriati, sostenibili e ad alto valore percepito.
Welfare Nest
Se è vero che i sistemi di welfare integrativo dovranno sempre più guardare all’iscritto e ai suoi bisogni per costruire i propri servizi, attività e prestazioni, quanto l’intelligenza artificiale può essere considerata un alleato?
Raffaele Boiano
Nel percorso classico della customer centricity, le fasi di personalizzazione e anticipazione segnano il momento in cui la tecnologia diventa leva strategica. Qui l’intelligenza artificiale si configura come un alleato decisivo per trasformare la relazione tra organizzazione e cliente. Se progettata e implementata responsabilmente, l’AI permette di intercettare pattern comportamentali, ottimizzare i percorsi di cura e costruire esperienze su misura, basate su profili socio-sanitari. Ne deriva un modello di cura proattiva, in cui l’organizzazione non aspetta la domanda del cittadino ma anticipa bisogni, offrendo valore al momento giusto.
Come già intuivano Don Peppers e Martha Rogers con il concetto di One to One Marketing, la vera innovazione non è la tecnologia in sé, ma la capacità di trattare ogni cliente come individuo, valorizzando dati e relazioni nel tempo.
Ovviamente l’AI non è mai neutrale: ogni algoritmo riflette scelte valoriali, priorità politiche e logiche presenti nel dataset di training. Nel welfare diventa quindi cruciale una governance etica e trasparente, che riduca i rischi di distorsione e potenzi l’impatto sociale positivo. Non si tratta soltanto di “prevedere il rischio”, ma di nutrire la relazione tra fondo e iscritto, costruendo fiducia e rafforzando l’agency delle persone. Come ricorda Lucy Kimbell, esperta di service design, ciò che rende un’organizzazione realmente centrata sull’utente non è solo cosa offre, ma come costruisce valore con e per le persone.
In questa prospettiva, l’AI non è un semplice strumento di automazione dei processi, ma deve diventare parte integrante di un sistema relazionale, capace di amplificare ascolto, analisi, proposta di valore e personalizzazione.

















